Scritto da: Lei, il 02/06/2020.
(N.B. Questa breve traduzione, piuttosto toccante, ha richiesto più che altro un lavoro di equivalenze culturali)
Per me viaggiare è uno dei modi migliori per imparare, perché riesco a percepire la storia attraverso tutti i sensi.
Il Sudafrica è pieno di cicatrici. Molti di queste, appartengo all’#apartheid, ossia il sistema di segregazione in vigore tra la fine degli anni ’40 e il 1992. Consisteva nella creazione di zone chiuse e separate per i diversi gruppi razziali, solo i bianchi potevano votare e le relazioni sessuali tra neri e bianchi erano vietate. Il voto tornò ad essere generale nelle elezioni del ’94, in cui vinse Nelson Mandela.
Città del Capo è una città incredibile per molte ragioni, e una di queste è visitare quello che oggi è denominato come Distretto 6. Questo quartiere fu demolito nel ’65 e i suoi 60.000 residenti furono costretti a trasferirsi, poiché fu dichiarata un’area dedicata esclusivamente ai bianchi. Oggi c’è un museo con le storie di tutte quelle famiglie che rimasero senza nulla, e si può persino passeggiare per quello che è diventato oggi il quartiere che, sebbene non vi siano più restrizioni, è piuttosto desolante.
Nel post di Instagram puoi vedere il museo dell’apartheid e come appare oggi il Distretto sei con la sua arte urbana che ricorda Mandela, così come il monumento in suo onore a Port Elizabeth.
Nella foto principale, si nota una banca che dice “solo non bianchi” e un’altra che dice invece “solo bianchi”. Sono frutto del lavoro dell’artista Roderick Sauls e si trovano in via Reina Victoria dove sono state ricreate le panchine pubbliche utilizzate nell’apartheid, alludendo al #razzismo e aiutandoci a #nondimenticare. Anche se sembra che molti stiano pian piano dimenticando…